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“Come ho ridotto i trigliceridi del 38%”

Alti livelli di trigliceridi nel sangue aumentano il rischio di malattie coronariche (come l’infarto) e dell’aterosclerosi.

Inoltre ai trigliceridi alti si associano quasi sempre bassi valori del colesterolo HDL -il colesterolo “buono”- e, spesso, una tendenza al sovrappeso ed alla malattia diabetica oltre che valori elevati della pressione arteriosa…

Purtroppo per chi come me svolge un lavoro sedentario, non riesce a fare molta attività fisica e ogni tanto si lascia un po’ andare a tavola è quasi fisiologico ritrovarsi con dei valori un po’ troppo alti di colesterolo e trigliceridi, ma tre mesi fa proprio il valore dei trigliceridi mi ha fatto drizzare i capelli: 238 mg/dl quando il limite è 170!

Mi ero quasi convinto a provare dei farmaci, oltre che a tentare di cambiare il mio stile vita… Ma per fortuna mi sono imbattuto su un forum in alcune persone che avevano avuto il mio stesso problema, e consigliavano di provare gli Omega-3 ad alta concentrazione con i quali avevano ottenuto ottimi risultati.

Ero un po’ scettico ma mi sono convinto anche perché anche se non avessi ottenuto risultati sui trigliceridi, l’assunzione di Omega-3 fa comunque bene – sono essenziali per il benessere – e non ha in genere controindicazioni.

Ne ho acquistato qualche flacone ed ho iniziato a prendere 3 grammi al giorno per 3 mesi… oggi i miei trigliceridi sono a 148, circa il 40% in meno!

Certo anche fare lunghe passeggiate e stare un po’ più attento a tavola ha aiutato, ma sono certo che senza l’aiuto dell’olio di pesce concentrato non avrei ottenuto questi risultati.

Basta davvero qualche pillola comprata al supermercato?

Ma non tutti gli integratori di omega-3 sono uguali, per ottenere questi risultati sono necessari gli Omega-3 distillati molecolarmente e ad alta concentrazione, che contengano cioè almeno il 60% di Omega-3 e siano puri, senza inquinanti… altrimenti i benefici degli Omega-3 rischiano di essere annullati dalle sostanze tossiche che possono essere presenti nel pesce!

Inoltre per ottenere le stesse quantità di Omega-3 con un integratore non concentrato bisognerebbe assumerne molte più capsule, mentre con un integratore di grado farmaceutico può essere sufficiente 1 capsula al giorno.

E’ meglio allora acquistare solo dalle aziende che sottopongono ogni lotto di produzione all’analisi di un istituto indipendente, riconosciuto a livello mondiale dai principali produttori di omega tre.

Questo istituto si chiama IFOS -International Fish Oil Standards con sede presso la University of Guelph in Canada- e sul loro sito è possibile trovare l’elenco aggiornato delle ditte e le relative analisi dei prodotti.

Proprio per l’elevata qualità del prodotto – praticamente è puro al 100% – questo tipo di olio è chiamato “di Grado Farmaceutico” – in inglese Pharmaceutical Grade Fish Oil, in sigla PGFO.
L’elenco delle ditte e delle analisi è consultabile sul sito di IFOS (in inglese) raggiungibile cliccando su questo sito.

Delle 34 ditte che producono olio di pesce di grado farmaceutico certificato da IFOS , il Miglior Acquisto è la canadese A-M B-Well perché:

  • i prezzi sono scontati fino al 40% rispetto ai concorrenti ed ha il rapporto qualità/prezzo migliore in assoluto, soprattutto se si acquistano più flaconi;
  • produce il più puro tra gli oli di pesce di grado farmaceutico: ha un contenuto di PCB (inquinanti tossici simili alla diossina) decisamente più basso rispetto ai concorrenti, e migliaia di volte più basso rispetto a quanto stabilito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, praticamente ai limiti della tracciabilità;
    produce il più puro tra gli oli di pesce di grado farmaceutico: ha un contenuto di PCB (inquinanti tossici simili alla diossina) decisamente più basso rispetto ai concorrenti, e migliaia di volte più basso rispetto a quanto stabilito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, praticamente ai limiti della tracciabilità.
    Pur in queste quantità minime ed inoffensive, la presenza di PCB in un integratore di Omega-3 può aiutarci a capire la purezza delle materie prime utilizzate (pesce pescato in mari poco inquinati) e la qualità del processo produttivo di raffinazione.
  • A-M B-Well ha la certificazione IFOS su TUTTI i lotti di produzione, quindi hai la certezza di acquistare un prodotto purissimo e freschissimo;
  • A-M B-Well PGFO è prodotto nella forma di trigliceride naturale in modo da assicurare una biodisponibilità fino al 250% più alta rispetto alla forma di estere etilico contenuta in altri prodotti  (insomma devi assumere meno capsule per ottenere gli stessi effetti).
    A-M B-Well PGFO per trigliceridi alti

Il certificato di analisi (virtualmente esente da inquinanti, concentrazione del 65% di Omega-3 ) è consultabile qui: certificato omega-3

Aspetti negativi? Essendo un olio di pesce di grado farmaceutico ha un costo maggiore dei generici integratori da supermercato. Ma se si decide di utilizzare gli Omega-3 per migliorare o mantenere la propria salute, non avrebbe senso acquistare un prodotto scadente, anche se economico.

Ti faccio poi notare che integrare la propria alimentazione con gli Omega-3 di grado farmaceutico ha un costo giornaliero inferiore a quello di un caffè

Io acquisto da loro da più di tre anni, e sono soddisfatto (i pacchi arrivano per corriere in 3 – 4 giorni), e gli effetti sulle mie analisi del sangue (e sulla mia sensazione di benessere in generale) sono evidenti.
Il servizio clienti di A-M B-Well mi ha sempre risposto in tempi brevi, al massimo nel giro di poche ore.

Preferisco acquistare casse da 12 flaconi, in modo da avere lo sconto massimo, visto che comunque la scadenza è sempre lontana (3 anni circa).

Si può acquistare su questo sito:

www.OlioDiPesce.com

Spero di esserti stato utile e… in bocca al lupo per i tuoi trigliceridi!

 

P.S. Ricordo che gli Omega-3 non servono solo per i trigliceridi, ma hanno molte altre proprietà:

A livello cardiaco: diminuiscono il rischio di arteriopatia coronarica
diminuiscono del 20-40% il rischio di morte improvvisa durante o dopo
il primo attacco cardiaco.
A livello vascolare: riducono la pressione arteriosa
esercitano un’attività antiaggregante piastrinica (ostacolano la
formazione di trombi)
A livello delle dlslipidemie: innalzano il colesterolo buono HDL,
abbassano il colesterolo cattivo LDL, abbassano i trigliceridi.
A livello psicologico:
sono essenziali nella gestazione.
sono utili nella prevenzione della depressione post partum.
migliorano le forme di depressione maggiore.
facilitano il trattamento della schizofrenia e dei disturbi bipolari.
sono efficaci nella cura dei deficit di attenzione-me-moria-cognizione
(malattia di Alzheimer)
A livello sistemico:
rinforzano il sistema immunitario (si sono visti effetti benefici
nelle persone affette da morbo di Chron e Lupus)
sono in grado di alterare la produzione di leucotrieni migliorando le
capacità antinfiammatorie (per esempio nell’artrite reumatoide e nella
psoriasi)
Inoltre:
• sono costituenti delle membrane cellulari
• introdotti con la dieta rimpiazzano i grassi saturi rendendo le
membrane cellulari più fluide, prevenendone l’irrigidimento e il
deterioramento
• sono utili nelle funzioni del sistema ormonale
• aiutano il corpo a mantenere la sua temperatura


Il giro-vita e i trigliceridi il cuore manda due segnali

C’ è poco da stare tranquilli. Se il “giro vita” è maggiore di 102 centimetri nell’ uomo e di 88 nella donna; se il valore dei trigligeridi nel sangue è superiore a 150 mg/dl; se il colesterolo HDL (quello definito “buono”) è inferiore a 40 mg/dl nell’ uomo e a 50 nella donna; se la pressione arteriosa è superiore a 130 (per la massima) e a 85 per la minima e se, infine, la glicemia misurata a digiuno svela un indice maggiore di 110, ci si può ritrovare affetti da Sindrome metabolica, il nuovo killer silenzioso che espone a un maggior rischio di diabete e di patologie cardiovascolari. Basta la presenza contemporanea di tre dei cinque fattori perché gli specialisti possano arrivare alla temibile diagnosi clinica. A riferirlo sono stati gli esperti americani del Programma nazionale sull’ educazione al colesterolo che, come sempre più esposti per condizioni socioambientali, sono in prima linea nella lotta ai danni di cuore e arterie. Con questi criteri di valutazione è risultato che il 25 per cento della popolazione adulta degli Usa (uno su quattro) è affetta da sindrome metabolica. E in Italia? In uno studio effettuato dal Centro di Diagnosi e Cura dell’ Obesità del Secondo Ateneo diretto dal professor Dario Giugliano, ordinario di Malattie del Metabolismo, sono state esaminate 50 donne obese. Per loro è stato attivato un programma di intervento multidisciplinare che comprendeva dieta, esercizio fisico, supporto psicologico e nutrizionale. I risultati, pubblicati sull’ ultimo numero del Journal Clinical Endocrinology and methabolism hanno rivelato che dopo un anno di trattamento la prevalenza di sindrome metabolica si è dimezzata, scendendo dal 52 al 28 per cento. “Almeno una donna obesa su due di quelle seguite presso il nostro Centro è risultata a rischio, inserita nell’ elenco dei dismetabolici. La ricaduta pratica in prevenzione è fondamentale: riuscendo a individuare, grazie a semplici parametri clinici e di laboratorio, i soggetti affetti dalla sindrome e all’ oscuro della minaccia che si portano dietro, è possibile intervenire prima che si verifichi un danno irreversibile”.

Fonte: Repubblica — 10 aprile 2003

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OCCHIO AL LIVELLO DEI LIPIDI

I TRIGLICERIDI sono lipidi formati da glicerolo e da tre molecole di acidi grassi.

Si trovano nel sangue non solo perché derivano dai lipidi che assumiamo con il cibo, ma anche perché i carboidrati in eccesso vengono trasformati in trigliceridi per essere immagazzinati nel tessuto grasso.

A temperatura ambiente, e secondo la loro struttura, possono trovarsi allo stato liquido, come gli olii, o allo stato solido come i grassi.

In genere questi ultimi sono di origine animale, mentre gli olii sono d’ origine vegetale. Il livello di trigliceridi nel sangue è correlato al rischio di malattie cardiovascolari in particolar modo quando anche il livello di colesterolo è alto.

Nei pazienti affetti dal ipercolesterolemia il livello di trigliceridi deve esser accertato prima di intraprendere qualsiasi tipo di cura: non tutti i farmaci infatti sono in grado di svolgere un’ azione efficace su questo tipo di lipidi. Controllare periodicamente i trigliceridi e il colesterolo permette inoltre di decidere quali abitudini di vita del paziente debbano essere modificate per abbassare il rischio di malattie cardiovascolari.

Tra i cibi particolarmente a rischio, per contenuto di trigliceridi, segnaliamo i grassi animali, i formaggi grassi, le uova e il cervello.

Inoltre bisogna sapere che l’ abuso di alcol comporta un aumento dei trigliceridi. Per bruciare i grassi in eccesso sono raccomandate quindi la dieta, ma anche un’ adeguata attività fisica.

Fonte: Repubblica — 04 maggio 1996

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Trigliceridi insidia-cuore

Parlando di troppi grassi nel sangue è al colesterolo elevato che si pensa come attentatore delle arterie e del cuore. Ma spesso ci sono comprimari più oscuri non meno pericolosi: i trigliceridi alti. Il loro ruolo come fattore di rischio indipendente di coronaropatia è controverso, però vi concorrono, inoltre sono componenti di quella frequente sindrome metabolica che è causa di cardiopatie, si associano a basse HDL cioè il colesterolo buono, aumentano il rischio di pancreatite e sono coinvolti nella steatosi, quando vengono ridotti nei dislipidemici questo si lega a meno eventi coronarici. E l’elenco delle colpe può continuare: è bene perciò non sottovalutarli. Ma che cosa sono i trigliceridi, come si previene e si cura il loro eccesso?

Occhio a grassi, calorie, zuccheri

In sostanza sono i lipidi più abbondanti nell’organismo, presenti soprattutto nell’adipe sottocutaneo (trigliceridi perché ogni molecola contiene tre acidi grassi), forniti dai grassi alimentari ma anche formati come riserva energetica da altri componenti della dieta quando le calorie totali sono troppe. La prima misura nella correzione dell’ipertrigliceridemia è quindi, come nell’ipercolesterolemia, comportamentale: da ridurre, oltre ai cibi grassi (tipici i formaggi), soprattutto calorie totali, zuccheri semplici (ricordando dolciumi, marmellata, bibite gassate, frutta e succhi), alcol (che stimola la sintesi nel fegato); tenere poi controllato il peso e fare esercizio fisico, eliminare il fumo. Le cause dei trigliceridi alti però non sono solo o direttamente alimentari, ci sono anche obesità, diabete, fattori ereditari, nefropatie croniche, ipotiroidismo e altro ancora. La gestione iniziale dipende quindi dal profilo di rischio coronarico del soggetto (alto se probabilità oltre il 20% di eventi a dieci anni anni o coronaropatia o diabete) e dal livello d’ipertrigliceridemia, che è considerata leggera tra 150 e 200 mg/dl, elevata tra 200 e 500 e molto elevata oltre i 500. Bisogna fare counselling al paziente se è responsabile lo stile di vita, indagare se c’è sindrome metabolica, ricercare altre cause secondarie, normalizzare la glicemia se c’è diabete. In molti casi d’ipertrigliceridemia non occorrono farmaci; quando questi sono necessari puntano a raggiungere prima di tutto gli obiettivi per le LDL.

Farmaci, combinazioni con cautela

Gli agenti farmacologici più usati sono le statine, i fibrati, la niacina, gli oli di pesce (omega-3). Nei casi con valori tra normali ed elevati in genere non sono necessari farmaci e il goal è appunto ridurre in altro modo le LDL. Nell’ipertrigliceridemia elevata nei soggetti che non hanno raggiunto le LDL ideali nella prima linea si usano le statine, in quelli più vicini all’obiettivo e non coronaropatici si possono considerare le altre opzioni, anche se i dati di efficacia come prevenzione primaria sono scarsi. Alla luce delle più recenti raccomandazioni per una diminuzione più aggressiva delle LDL nei soggetti a maggior rischio coronarico, possono occorrere combinazioni degli altri farmaci con le statine, scegliendole individualmente: per esempio niacina se le HDL sono basse e le LDL alte, fibrati se HDL e LDL sono adeguate e i trigliceridi alti, omega-3 se c’è coronaropatia. La terapia di combinazione richiede però un attento monitoraggio e basse dosi per possibili rischi, come quello di rabdomiolisi (danno muscolare che può portare a morte) risultato aumentato da alcune associazioni di statine e fibrati. Nell’ipertrigliceridemia molto elevata, infine, i farmaci sono in genere necessari e spesso combinati, sempre usando cautela; se i valori sono superiori a 1000 un obiettivo prioritario è diminuire il rischio di pancreatite acuta e occorre una dieta fortemente ipolipidica.

Fonte
Robert C. Oh e coll. Management of Hypertriglyceridemia. Am Fam Physician 2007; 75: 1365-71.

DA WWW.DICA33.IT

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Diete: qual è la migliore?

Le diete di tendenza, che fanno notizia su giornali e riviste oltre a preoccupare talvolta medici e nutrizionisti, non sono molto diverse l’una dall’altra in quanto a efficacia: non ne hanno poi molta e, pur riducendo un po’ il rischio cardiovascolare connesso al sovrappeso e facendo perdere qualche chilo, richiedono una strettissima aderenza per funzionare. È quanto rilevato in uno studio di Michael Dansinger del Tufts-New England Medical Center di Boston, pubblicato sul Journal of the American Medical Association.

Le diete “griffate”, come la Atkins o la dieta a zona, fanno molti adepti in tutto il mondo occidentale ma, soprattutto per alcune, l’efficacia è solo raramente verificata in indagini con tutti i crismi medico-scientifici. In quest’indagine Dansinger ha confrontato le diete più famose: la Atkins, basata sulla riduzione dei carboidrati senza controllo invece sui grassi assunti; la dieta a zona, che consiste nel tenere d’occhio l’indice glicemico dei cibi – ovvero un parametro che indica la velocità di assorbimento dei carboidrati in essi contenuti – e l’equilibrio dei diversi macronutrienti: proteine, grassi, carboidrati; la dieta Weight Watchers, che consiste nel ridurre porzioni e introito calorico; la dieta Ornish, che invece si basa sulla riduzione dei grassi assunti.

Queste quattro diete sono state fatte seguire per un anno a un gruppo di 160 individui in sovrappeso o obesi tra i 22 ed i 72 anni, suddivisi equamente in quattro gruppi. Dopo un anno coloro che erano stati più fedeli ai precetti della dieta assegnata erano dimagriti più o meno tutti dello stesso peso indipendentemente dalla dieta seguita e tutti avevano avuto un moderato beneficio su parametri con cui si può quantificare il rischio cardiovascolare, quindi colesterolo “cattivo” e trigliceridi nel sangue.

In particolare, ha rilevato Dansinger, i seguaci della dieta Atkins (il 53 per cento dei quali ha completato il periodo di dieta senza “mollare”) sono dimagriti di circa due chili, quelli della dieta a zona (il 65 per cento ha completato il “percorso”) di circa tre, quelli della dieta Ornish (50 per cento di tenaci) poco più di tre chili, infine i seguaci della dieta Weight Watchers (65 per cento di tenaci) poco meno di tre chili.

In termini statistici queste differenze non sono così significative per promuovere una e bocciare le altre diete. Inoltre nessuna differenza significativa si è registrata neppure per quel che riguarda la riduzione di rischio cardiovascolare: tutte più o meno determinano un decremento del 10 per cento del rapporto colesterolo cattivo/colesterolo buono. In ogni caso l’aderenza al regime alimentare è il problema riscontrato per tutte le diete esaminate, con maggiori disagi per la Atkins e la Ornish forse per le loro regole un po’ “estreme”.

Questo studio, oltre a dimostrare che le diete di voga non sono poi migliori l’una dell’altra, indica soprattutto che la strategia migliore per dimagrire è adottare il più possibile una dieta personalizzata stilata da dietologi esperti, che tenga conto di abitudini, preferenze e stile di vita del paziente, in modo da massimizzare l’aderenza alla cura dimagrante.

Yahoo salute 05/01/2005

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